Eravamo stati taskati dal Comando operativo per volare una missione di sorveglianza sul mar Mediterraneo, una delle nostre missioni di routine che prevedeva il pattugliamento di un’area assegnata, impiegando tutti i sensori e gli apparati del velivolo includendo ovviamente alche il sensore ottico cioè le vedette.
La missione si svolgeva regolarmente acquisendo bersagli di superficie, imbarcazioni di vario tipo, identificandole e tracciandone la rotta in modo sistematico e preciso, come di consuetudine.
Dopo circa sei ore di pattugliamento, l’operatore al radar segnalava un contatto radar debole, presumibilmente un contatto molto piccolo che generalmente poteva essere associato ad uno snorkel di sommergibile o ad una piccolissima barca a vela o ad un segnale da pesca.
Il Capo equipaggio, su suggerimento del Coordinatore tattico iniziava a dirigere il velivolo seguendo le indicazioni del radarista e dell’operatore al tavolo di ricerca, il bersaglio era evanescente, molto debole, ma il radarista riusciva a captarne l’eco e a dare le indicazioni di prua da mantenere per la sua intercettazione.
Il mare era leggermente mosso ed essendo quasi all’imbrunire la visibilità era alquanto ridotta, il pilota si portava alla quota e alla velocità prevista per l’avvistamento, io seduto nella postazione di vedetta anteriore scrutavo il mare che scorreva velocemente sotto di me e cercavo di concentrare la mia vista sulla posizione del bersaglio che oramai era a meno di due miglia dal velivolo.
Non riuscivo a vedere nessun bersaglio di superficie durante la corsa di avvicinamento e quando oramai “on top” del bersaglio, intravidi un qualcosa di piccolo e di colore scuro, marcai la posizione con un fumogeno MK7 e chiesi al Capo equipaggio di ritornare sul bersaglio. Avevo avuto l’impressione di aver visto un uomo galleggiare a mare su qualcosa di molto piccolo, ma non ne avevo la certezza.
Il pilota eseguiva una virata per tornare sul bersaglio, il fumogeno si era acceso e indicava con una accettabile precisione, il punto dove avevo visto quel qualcosa di anomalo, mentre il radar non riusciva più a battere il bersaglio.
Prossimi all’on top, ma con una angolazione diversa dal precedente passaggio e forse con una condizione di luce migliore, vidi non una persona ma bensì due, due naufraghi aggrappati ad un pezzo di legno galleggiante alla deriva ed immediatamente informai l’equipaggio dell’avvistamento che prontamente si predispose per la procedura di sgancio del battellone SAR.
Fu un susseguirsi ordinato e preciso di comunicazioni con gli enti operativi e di preparazione alla procedura di sgancio, mentre io cercavo di non perdere di vista il fumogeno ed i due naufraghi.
Effettuammo il passaggio per calcolare il vento e determinare il punto previsto per lo sgancio del SAR KIT che avveniva regolarmente al passaggio successivo con una precisione quasi millimetrica.
La cosa che sembrò subito strana fu che nessuno dei due naufraghi, avvinghiati a quel pezzo di legno che altro non era che una porzione della poppa della loro imbarcazione inabissata, si mosse per raggiungere la zattera di salvataggio pluriposto che stazionava vicinissimo alla loro posizione e ciò non faceva ben sperare per le sorti delle due povere persone, non sapevamo se erano ancora vivi, svenuti o magari morti. Nessun cenno veniva da loro e la preoccupazione a bordo saliva mentre nel frattempo una nave mercantile, la più vicina alla posizione veniva contattata dal velivolo e dirottata per prestare immediato soccorso.
Volammo per altre due ore circa, sorvolando la zona e coordinando la macchina del soccorso che oramai era in moto, fino a quando la nave mercantile portò a bordo i due naufraghi che circa mezz’ora dopo furono recuperati da un elicottero dell’aeronautica Militare decollato da Malta e portati presso il centro ospedaliero dell’isola.
Avevamo raggiunto il nostro PLE, e quindi dirigemmo verso la base sperando che le due persone fossero in stato di salute non critico ed appena atterrati e giunti presso la sala operativa di reparto per il de-briefing della missione, ci fu comunicato che i due naufraghi erano fisicamente ed emotivamente provati ed in stato di ipotermia avanzata, ma vivi.
Fu la notizia che ognuno di noi avrebbe voluto sentire e ci abbracciammo tutti in preda alla commozione, eravamo stanchi ma avevamo raggiunto l’obiettivo più importante del nostro lavoro di equipaggi di volo dell’Aeronautica e della Marina militare, aver salvato vite umane.
La preparazione e l’addestramento, il rispetto dei ruoli a bordo, la nostra determinazione ed una dose di fortuna, avevano permesso al nostro equipaggio di fare la differenza tra la vita e la morte, ed essere sempre più orgogliosi del nostro lavoro e del servizio incondizionato che siamo chiamati a svolgere per la nostra patria.
Non dimenticherò mai quel giorno e quella missione volata con il nostro “padre di famiglia” il mitico Breguet BR 1150 ATLANTIC.
P.S.: I due sopravvissuti ci ringraziarono e ci fecero sapere che loro non avevano più le forze per lasciare quel pezzo di legno e salire sulla zattera di salvataggio né tantomeno di fare gesti di segnalazione, ma non dimenticheranno mai quel sibilo fraterno dei motori dell’Atlantic che dal nulla li ha accarezzati, sorvolati e salvati.
Testo: Primo Luogotenente Riccardo REITANO, in servizio al 41° Stormo Antisom di Sigonella